Sentiero della gioia

Come il Padre ha mandato me
Dobbiamo partire da un atto di Fede, un piccolo atto di Fede; anche se definirlo piccolo è improprio perché la Fede è una realtà talmente grande che non si potrebbe mai chiamare piccolo il più piccolo atto di Fede. Come un frammento di Ostia consacrata è `piccolo' segno di una immensa Presenza: «Cristo è tanto in ogni parte quanto nell'intero». Gesù stesso insegna ad esprimerci in questo modo; è il suo vocabolario che cercheremo di usare in queste meditazioni. Lui parla di un granino di Fede, non un pizzico, ma un solo granino. Facendo quindi un piccolo atto di Fede che è per se stesso immenso, perché la Fede si identifica nel Verbo fatto carne e il Verbo fatto carne è Uomo-Dio (la Fede è Lui); prestando dunque fiducia al Verbo fatto carne, aderendo a Lui, sono annullati in questo momento tutti i secoli che partono dalla sera della Pasqua, nella quale il Maestro, Colui che è la nostra Fede, apparendo agli amici suoi a porte chiuse, vincitore ormai della morte e di tutte le categorie che condizionano nel tempo la creatura umana, salutandoli con il saluto della pace, dice una parola che definisce la nostra persona ponendola sul suo stesso piano: «Come il Padre ha mandato me (ecco il suo ruolo), così io mando voi (ecco il nostro)» (Gv 20,16). Identità di missione: identità di dignità, causa efficiente di parità di poteri. Dico che dobbiamo fare un atto di Fede, cioé accettare il Verbo fatto carne come Egli è. Non siamo stati noi a fare il Verbo-Dio nell'eternità, né siamo noi a farlo nel tempo. La Generazione eterna, appunto perché eterna, non può essere che opera di Dio: l'unico atto di volontà di Dio pari a se stesso; quindi atto infinitamente grande è la generazione del Figlio di Dio, del Logos, seconda persona della SS.ma Trinità. Opera di Dio la generazione nel tempo, l'Incarnazione. Noi accettando Gesù come egli è, come lo ha fatto l'eterno suo Padre nell'eternità e nel tempo (ecco l'atto di Fede), accettiamo questa definizione che dà di ciascuno di noi. Accettiamo questa comunione di ruolo che è pari al Suo. Accettiamo quindi di condividere la sua stessa dignità, causa efficiente di tutti i suoi poteri, che diventano perciò tutti poteri nostri. Sono misurate le sillabe di queste parole, naturalmente, perché qui noi ci muoviamo già ai bordi del mistero: Mysterium Fidei; che è come dire: Mysterium Christi; o meglio ancora: Cristo Mistero. Quando celebriamo la Messa, la liturgia vuole che, compiuta la transustanziazione, rivolgendoci al popolo, ma pure stretti e fusi in uno con quel Mistero, diciamo: Mysterium Fidei. E' avvenuto quello che il Verbo fatto carne ha voluto. E' avvenuto ciò che il Verbo fatto carne ha comandato che facessimo. Mysterium Fidei! Però attenzione a non operare un pericoloso distacco: se io predico che la transustanziazione è Mistero della Fede, devo predicare prima che io operatore, generatore dell'Eucaristia sono un Mistero di Fede. Non potremmo mai proclamare al popolo di Dio il mistero eucaristico se prima noi non fossimo già `Mistero di Fede'.
Abbiamo detto che la Fede è Cristo, il Verbo fatto carne. Se dunque io proclamo la generazione dell'Eucaristia, vuol dire che io sono identificato al Cristo. Infatti le parole che pronuncio sono parole in prima persona: «Questo è il mio corpo...». Ma al popolo di Dio interessa il Corpo di Cristo. Sì: io sono Lui!
Ogni causa produce l'effetto proporzionato, ogni effetto esige una causa proporzionata, nulla di meno. Con un banale paragone, che racchiude però il principio filosofico, possiamo dire che ogni botte dà quello che ha. Quanto affermato per la transustanziazione, vale ugualmente per la remissione dei peccati, per la proclamazione del Vangelo del Padre. Chi può rimettere i peccati? Chi è il Vangelo del Padre? Sempre il Verbo fatto carne. Che si identifica talmente con me da considerare la mia persona tutta sua, in modo che io possa considerare la Sua tutta mia. Sarebbe altrimenti una sofisticazione imperdonabile il dire: «Io ti assolvo...»; il dire: «Le mie parole sono spirito e vita...»; burla sacrilega pronunciare: «Questo è il calice del mio sangue...». Ciò significa che il Mysterium Fidei, o la Fede del Mistero, Cristo, si identifica nella mia persona sì che io non mi appartengo più, appartengo tutto a Lui. Logicamente appartenendo tutto a Lui non vengo distrutto; ancora sono io, parlo ancora del mio io, della mia persona. Ma appartenendo la mia persona tutta a quella di Cristo, di conseguenza quella di Cristo appartiene tutta a me. Impossibile questo? E' possibile, perché c'è di mezzo il sacramento dell'Imposizione delle mani che rende possibile ciò che umanamente è incredibile e inconcepibile. L'ha reso possibile, lasciandolo incomprensibile. Non potremo mai comprenderci fino in fondo: è chiaro questo.
Ciascuno di noi resterà sempre un mistero insondabile, inesauribile, inesausto. Ciascuno di noi, con il nostro nome e cognome, con la nostra indole, carattere, temperamento; con la nostra vicenda storica; noi, con il nostro essere creaturale-umano non ci apparteniamo più: apparteniamo a Lui. La nostra persona trova nei segni sacramentali dell'Eucaristia il suo migliore paragone: come il pane e il vino sono diventati segno della reale presenza del Verbo Incarnato; così noi - marcati da uno speciale carattere che ci configura a Cristo Sacerdote - siamo pure diventati segno vivo (=testimonianza) della Sua presenza, in modo da poter agire nel nome di Lui, Capo della Chiesa e suo Sposo.
Parole che possono sembrare pompate; no, sono appena balbettate. E' un balbettìo questo, un sussurrare qualche cosa di un mistero che ci trascende infinitamente, come la presenza sostanziale del Verbo Incarnato trascende infinitamente gli elementi chimici (apparenze) del pane e del vino. Ne siamo tutti sicuri: un frammento transustanziato appare come un nulla al confronto della realtà della presenza del Verbo, che è infinitamente grande. Nell'Incarnazione nulla ha perduto della sua infinità; la sua kenosi estrema non tocca menomamente, non diminuisce, non scalfisce l'infinita grandezza del Verbo generato dal Padre, consustanziale al Padre. Grande come il Padre, sapiente come il Padre, bellissimo come il Padre, onnipotente, onnisciente, onnipresente come il Padre. Oh, sì, attributi del Sacerdozio a motivo della sua origine eterna, «ante Luciferum». Nella realtà creaturale umana Cristo Sacerdote è Re, Capo, Mediatore, Salvatore, Via, Verità, Vita, ... Amici cari, tutti questi attributi di Gesù, sommo Sacerdote... non possono lasciare indifferente il Prete. Sacerdozio di Cristo il nostro, che non ci siamo attribuiti noi: sarebbe pazzìa pensarlo. Tuttavia chi ce lo ha attribuito, ce l'ha attribuito intatto, genuino: ce n'è uno solo. O siamo Sacerdoti o non lo siamo. Se lo siamo, siamo il Sacerdozio di Cristo, né più né meno. Non è lecito scalfire il Sacerdozio di Cristo che è nelle nostre mani. «Funzione eccelsa e insopprimibile» (P.O.9/A): costituire e incrementare, reggere e pascere il Popolo di Dio. E chi a volte si picca di scalfirlo perché gli pare impossibile..., conviene che si umìli, che si sprofondi nella sua nullità e miseria, e adori il Mistero. Già tanto, vedete, avessimo la mente eletta di Tommaso d'Aquino, parlando del Sacerdozio, noi come lui e lui come noi, dovremmo riconoscere la debolezza della nostra intelligenza, della nostra indagine fosse pure sostenuta dalla luce stessa di Cristo, nostra Fede. Dopo aver scritto cose sublimi anche sul Sacerdozio, Tommaso, tre mesi prima di morire, celebrando la Messa, la stessa Messa che noi celebriamo, al Pater noster ebbe una illuminazione; rientrando in sacrestia chiese scusa all'inserviente per quel Pater che non finiva mai, e confidò: Tu sai quanto ho scritto, ma è tutta paglia da buttare al fuoco. E in quegli ultimi mesi, riprese in mano la penna, ma Tommaso d'Aquino non riuscì più a scrivere nulla. Il mistero del suo Sacerdozio... E' il mistero del Sacerdozio di Cristo: non ce ne sono due. Noi viviamo lo stesso identico mistero che Gesù, concepito nel grembo della Vergine ad opera dello Spirito Santo, da quell'istante vive per i secoli eterni. Sacerdoti in eterno, naturalmente, perché il suo Sacerdozio è `per speculum praedestinationis'; è quindi eterno, ma si attualizza e manifesta nel tempo dal momento dell'Annunciazione in avanti. Tutto questo ci riguarda. Non so se abbiate preso in mano il bel volume del card. P.Parente nella sua terza edizione: «L'io di Cristo»; cioé la coscienza, il sentire in Cristo di se stesso. Potrebbe ciascuno aggiungere: Questo `io' di Cristo è il `mio io'. Certo, in forza della Grazia sacramentale dell'Ordine. E non per una sovrapposizione arbitraria, frutto di infatuazione, di esaltazione, di euforìa, di sentimentalismi; frutto invece di predestinazione: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,5). E Geremia, il profeta cui rivolge questa parola Iahvé, è figura di Cristo sommo-eterno Sacerdote. E' figura di ciascuno di noi, di tutti insieme e di uno ad uno. Il nostro io personale non viene soppresso, eliminato, schiacciato, amputato, scalfito nell'Imposizione delle mani: quelle mani sono state imposte sopra una testa, sopra la nostra persona. Non hanno inteso eliminarla, hanno inteso raggiungerla. Sono le mani di Cristo risorto, che dice: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». Ecco le mani del servo pronte ai cenni del padrone (cfr Sal 122,2): le mani, simbolo riassuntivo di tutta la persona nella sua dinamicità. Pronti: sono naturalmente gli occhi che guardano, ma allo stesso tempo le mani che si protendono. Le mani del Verbo non annullano le nostre. Lo stringiamo nell'Eucaristia. C'è una tesi nel trattato `De Eucharistia' che afferma: «Si può dire: porto l'Eucaristia?, espongo Gesù Cristo?, stringo tra le mie dita Cristo eucaristico?». Sì, si può dire: è così! Quando ci furono imposte le mani non fu distrutta la nostra persona; Dio l'ha raggiunta per unirsi ad essa in maniera misteriosa, sacramentale, da fare con noi perfetta unità. Tanto perfetta che noi parliamo le parole di Dio, le parliamo in persona propria, in prima persona, la mia persona: «Questo è il mio corpo... Questo è il calice del mio sangue...». Conchita, una messicana madre di nove figli, quando seppe che il suo Manuel aspirava al Sacerdozio, pur restando sempre mamma di famiglia, desiderò possedere i sentimenti del figlio Prete. Sentimenti che Maria di Nazareth aveva trasfuso in Gesù, perché la kenosi comprende anche questa umiltà, che Gesù sia stato scolaro di Maria. Ebbene Conchita ha scritto cose stupende, più di mille pagine di Diario, riguardo al Sacerdozio ministeriale; scrive come dettate dal Maestro divino: «Mio Padre vuole il Sacerdote trasformato in me, non solo nell'ora della Messa, ma in qualunque ora; in modo tale che in qualunque luogo e a qualunque ora il Sacerdote possa veramente dire, all'interno della sua anima, quelle parole benedette, costantemente realizzate in lui per la sua trasformazione in me: `Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue'...» (31.12.1927). Conchita è morta nel 1937; non aveva di certo sentito l'affermazione del Concilio che il Presbitero in forza dell'Imposizione delle mani agisce «in persona Christi» (cfr P.O.5/A; L.G.10).
Come è possibile che un uomo agisca nella persona di Cristo? Lo è se quest'uomo si consegna al Cristo, perché Cristo diventi proprietario della sua stessa persona. Il Cristo appropriandosi della mia persona, consegna la sua alla mia. Ecco un punto meraviglioso di ascetica! Chi lo vive, fa un'esperienza mistica che è la più alta, riassuntiva di tutte le esperienze del Cristo.
Se io questa mattina posso transustanziare il pane e il vino agendo in persona mia, ciò avviene perché Lui agisce nella persona di me. Io nella persona di Lui. «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». Il Signore ci ha collocati sul suo stesso piano. Ha voluto comunicarci il suo stesso ruolo, la stessa sua missione. E perché ruolo e missione potessimo realmente esplicarle, Egli ci comunica il suo essere, affinché siamo capaci di agire secondo il suo essere. Agere sequitur esse: ognuno agisce secondo quello che è e che ha. Pensate l'enorme importanza della parola del Risorto sopra coloro che Lui ha chiamato. Dopo aver detto: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi», subito aggiunge: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,16). Già! Come possiamo altrimenti trovarci sul Tuo stesso piano, Signore? Come possiamo essere quello che sei Tu? Tu sei il Verbo perché possiedi lo Spirito. Sei Verbo fatto carne perché generato nel seno della Vergine ad opera dello Spirito. Come possiamo essere quello che sei Tu, se non ad opera dello stesso Spirito? Non avremmo la Paternità, non avremmo la Filiazione se non avessimo lo Spirito Santo. Dio è Padre, Dio è Figlio perché Dio è Spirito Santo, `qui a Patre Filioque procedit'. Il Padre mai sarebbe Padre senza l'Amore; e il Figlio mai sarebbe Figlio, né si comporterebbe da Figlio se non ci fosse l'Amore. Lo Spirito Santo spiega la Trinità, spiega la Paternità, spiega la Filiazione. E lo Spirito Santo, lo stesso Spirito, spiega l'Incarnazione del Verbo. Senza lo Spirito Santo, Maria non avrebbe mai potuto concepire il Verbo del Padre, perché ìmpari ad un atto che coinvolge l'Onnipotenza. Nessun uomo avrebbe potuto sognare la paternità su Gesù di Nazareth. Soltanto perché sposa dello Spirito Santo lei ha potuto essere feconda in un modo che comporta l'onnipotenza, la Potenza d'Amore, lo Spirito Santo per cui Dio è Padre, Dio è Figlio e nella natura umana Dio è l'incarnato Verbo. «Ricevete lo Spirito Santo»...: sì, quanto lo Spirito ha compiuto nella mia Incarnazione, affinché Io rimanendo Figlio di Dio diventassi anche Figlio dell'uomo, per quello stesso Santo Spirito voi condividete la mia missione, il mio destino, il mio essere e il mio operare. «Ricevete lo Spirito Santo». Abbiamo detto di fare un atto di Fede, un piccolo atto di Fede. Voi capite quanto questo piccolo atto di Fede sia grande, impegni intera la vita. Non basterà l'eternità perché noi riusciamo a sondare sino in fondo questo atto di Fede che è l'accoglienza e l'accettazione di tutto quello che è avvenuto in Gesù di Nazareth. Sottolineamo due punti che poi ritorneranno, ma li mettiamo giù come due plinti che devono portare l'edificio. Stiamo parlando di identità con Cristo Sacerdote; ma tutto ciò che è in Cristo è teandrico? Teandrico vuol dire divino-umano insieme. Certo, dal primissimo istante, dal concepimento in avanti tutto in Gesù di Nazareth è divino-umano. La natura divina sposa la natura umana in Gesù, con uno sposalizio che dura per sempre. Perciò tutti i comportamenti, tutte le attività derivanti, sono attività teandriche. E' indissolubile questo coniugio: tutto in Gesù è divino-umano. Attenzione: il Sacerdozio ministeriale, che precede e causa il sacerdozio comune (anche se ogni Sacerdote nasce dal sacerdozio comune), fa sì che tutto sia teandrico in noi dal giorno dell'Imposizione delle mani. Sotto certi aspetti l'esperienza cristiana - di chi vive nella Grazia santificante - è pure teandrica, fatti come siamo `partecipi della natura divina' (2Pt 1,4) e tralci dell'unica Vite (cfr Gv 15,1); ma quella dei Sacerdoti è una configurazione al Cristo del tutto speciale, in quanto li rende partecipi dell'autorità con cui il Redentore stesso fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo (cfr P.O.2/C): è la teandricità, per così dire, di un padre di famiglia, di un capo ...che accumula per i figli. Oh, ci vuole del coraggio a dire questo? C'è invece da stupirsi che a qualcuno manchi la convinzione di dire le cose come sono. Qualcuno ha osato scrivere che i Padri del Concilio han fatto dei torti a noi Presbìteri, avendo parlato molto dei Vescovi e dei Laici, ma poco dei Preti. Quale torto ci hanno fatto? Leggiamo bene il decreto Presbyterorum Ordinis: avessero detto anche una volta sola che il Presbitero agisce in persona di Cristo, per questa espressione voluta dallo Spirito Santo non possiamo più parlare di torti. Dobbiamo dire che il Concilio Vaticano II, proseguendo nella linea del Concilio di Trento e ampliandone i concetti, ha detto di noi cose incredibili, tutte riassunte in sintesi stupenda in quella parola ripetuta più volte: Il Presbitero agisce «in nomine, in persona Christi». E spiegano dicendo che il Sacerdozio ministeriale rende «participes effecti» (cfr P.O.5/A), rende capaci di agire «in nomine, in persona Christi». `Fatti abili': fa pensare alla pagina evangelica che narra la scelta degli apostoli. Gesù «li ha fatti» (cfr Mc 3,14): viene usato il termine greco `fare' in senso `generativo'. I Presbiteri perciò sono, per l'Imposizione delle mani, `generati', `fatti capaci' di agire nella persona di Cristo. Io non so se il Concilio poteva dire di noi cosa più grande! Che significa essere «participes effecti sacerdotii Christi Domini nostri»? Significa essere coinvolti nella sua teandricità. E mamma Conchita capisce, intuisce questo di suo figlio Manuel: Non mi interessa vederti - gli scrive - mi basta sapere che tu sei Sacerdote. L'altra osservazione: il Cristo è tutto metastorico. Che significa metastorico? Dalla parola greca `meta', super-storico: Cristo è tutto superstorico. Non soltanto il fatto della Risurrezione, come qualche teologo sbrigativo dice. Che la Risurrezione sia un avvenimento conclusivo, certo; ma voi ben capite che non si arriva all'ultimo scalino se non partendo dal primo. Se è metastorico l'ultimo scalino, sono metastorici anche gli altri. Tutti: il penultimo, il terzultimo, il primo, il secondo, il terzo... Il concepimento nel grembo della Vergine non è metastorico? Chi lo può spiegare? «Come è possibile? Non conosco uomo» (Lc 1,34): giustamente ha risposto così, perché anche Lei si è trovata di fronte ad un avvenimento che andava oltre tutti i fenomeni e le leggi della natura. Storico il Cristo, certo. La sua vita si svolge dentro una cornice geografica e storica precisa. Ma il suo essere non è il solito essere umano. «Verus homo, sed non purus homo». «Verus homo et verus Deus». Quanto ha sofferto la Chiesa nei primi secoli perché agli uomini sembrava cosa impossibile che Dio avesse sposato talmente forte la natura umana da farla sua, da vivere un'unica realtà, un unico io. Gesù è un'unica Persona, un unico io, ma che vive l'esperienza divina simultaneamente all'esperienza umana. Quanto è miserabile la creatura umana; non soltanto di noi che viviamo in questa baraonda, in una inflazione morale che fa sanguinanti le strade. Capivano bene anche allora cosa fosse veramente l'uomo. I primi dubbi sul Cristo non hanno riguardato la sua divinità (i miracoli erano troppo evidenti), ma la sua umanità: che fosse davvero uomo? L'uomo: così cattivo, così brutto, così fragile, pronto ad ogni delitto. Possibile che la natura divina abbia sposato la natura umana e ne sia perciò risultato tutto un mistero di metastoricità? Dal concepimento in avanti tutto è metastorico in Cristo. Veramente storico, non puramente storico. Se fosse puramente storico, Gesù di Nazareth sarebbe puramente uomo e solo uomo. Lo spiegano le semplici parole del catechismo di s.Pio X: «Chi è Gesù? Perfetto Dio e perfetto uomo; perché facendosi uomo non ha cessato di essere Dio, ma restando vero Dio ha incominciato ad essere vero uomo». Parole così semplici: verità sacrosante. Tutto è metastorico in Cristo: e il Cristo sei tu. No..., troppo! Andiamo a leggere quanto ha dettato s.Caterina da Siena, dottore della Chiesa: Voi siete i Cristi della Chiesa e del mondo. Ieri pomeriggio viene a trovarmi un medico di Verona che gode la stima e l'affetto della povera gente della città, e mi dice: «Sa, Padre, la mia Fede è così. Mi dica lei se è una Fede giusta o sbagliata. Io, Dio non lo raggiungo; Gesù Cristo non l'ho mai visto; ma sono amico di un Prete e trovo tutto in quello; raggiungo Dio, raggiungo Gesù Cristo. Quando la mia moglie malata di tumore soffre, io non so più dove battere la testa. Sa cosa faccio? Non sono capace di dire il Padre nostro o il Credo o il Gloria; penso a quel mio amico Prete e prego quello. E sento che Dio è vicino a me nella persona di quel Prete». E terminava domandandomi se era Fede autentica o se doveva rettificare qualcosa. La mediazione tra lui e il Creatore era il Prete. Faceva bene o faceva male? Benissimo! Il Prete chi è? Gesù Cristo. E chi è Gesù Cristo? La mediazione tra la creatura e il Creatore, tra noi poveri mortali e l'Inaccessibile. «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9). Questo medico dice: Io non crederei se non avessi quel Prete a fianco. E s.Agostino: Non crederei se accanto a me non ci fosse la Chiesa. La Chiesa non sarebbe se mancasse il Sacerdozio ministeriale, il Capo. La grazia del Sacerdozio ministeriale è la Gratia Capitis. Se manca la Gratia Capitis, cessa la Chiesa; se manca la testa cessano le membra; se manca il capofamiglia non ci sarà mai la famiglia. Chi sei tu, Prete? Che mistero questo piccolo atto di Fede, immenso quanto il Verbo che restando immenso si fa piccolo e abbraccia la nostra storia e vive nella nostra geografia. Il Tutto e il nulla. Conchita pensa al Sacerdozio del suo figlio: sublimità e infermità; immensità e fragilità: ecco chi sei, Manuel! Questo siamo noi: piccolo atto di Fede, perché siamo estremamente piccoli, nullatenenti di nostra iniziativa, e siamo l'Onnipotere del Padre. Il Padre ha messo nelle mie mani tutti i poteri (cfr Mt 28,18). Tutti i poteri sono nel Sacerdozio di Cristo. Concludiamo la meditazione ricordando un santo di cui torneremo a parlare: don Bosco. Tra le fortune della mia vita giovanile c'è quella di aver conosciuto uno degli allievi di d.Bosco: d.Matteo Rigoni. Aveva ricevuto l'abito congregazionale salesiano dalle mani del santo ed era stato tra gli ultimi chierici a baciargli la mano mentre era morente. Parlandoci di d.Bosco diceva: «Faceva i miracoli con la massima disinvoltura. Moltiplicava le ostie nella pisside e distribuiva con tre-quattro particole la comunione a centinaia di ragazzi; quando mancava il pane per la colazione, perché il fornaio non voleva più consegnarne, distribuiva quei pochi mozziconi rimasti a tutti gli allievi di Valdocco, con la stessa semplicità con cui aggiustava un paio di scarpe ad un ragazzo che le aveva buche». E ci mostrava in un fazzoletto le nocciole ricevute dalle stesse mani di d.Bosco: «Eravamo in 32 di V ginnasio. Don Bosco ci fece una conferenza; la prolungò oltre il previsto; poi chiese scusa dicendo che anche lui aveva preparato qualcosa per ricompensare tanta attenzione. Da un cassetto prende fuori un cartoccio di nocciole, forse saranno state due etti. E dice: `Mettetevi in fila con il vostro berretto in mano' (il famoso berretto della divisa!). E d.Bosco con quel sacchettino riempì il berretto ai 32 ragazzi. I primi le hanno mangiate; ma quando si sono accorti che stava succedendo un miracolo sotto i loro occhi, se le sono conservate come reliquie». Chiama un giorno questo ragazzo che tossiva spesso e sputava sangue: - Matteo, devi iscriverti all'università e fare matematica. - Oh, d.Bosco, lei sa, lei vede. - Io so e capisco. E tu vatti a iscrivere e fa' l'università! E l'altro sudando esce dalla stanza, ma si sente richiamare: - Guarda, tu camperai a lungo e una notte mi chiamerai dal cielo e io ti verrò in aiuto. Il tisicaccio Matteo Rigoni divenne bravissimo professore di matematica: morirà a quasi novant'anni. Una notte, mentre era direttore del collegio salesiano di Este (Padova), scoppia un incendio; la casa è piena di ragazzi che dormono; prende una reliquia di d.Bosco ormai passato all'altra sponda (era venerabile), e stringendola forte in pugno gira per tutto il collegio gridando: «Don Bosco aiutaci! Non vedi che sono in pericolo le vite?». Nessuno perse la vita, nessuno si bruciò un capello. Soltanto al mattino, ripensandoci, comprese che le parole di d.Bosco si riferivano a quella notte. Tutto con la massima semplicità. Ora io mi domando: il suo Sacerdozio era diverso dal mio? «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). «Questi saranno i segni che vi accompagneranno...» (Mc 16,17). Quali segni garantisce Gesù di Nazareth ai suoi Sacerdoti? Gli stessi che il Padre aveva garantito a lui. Don Paolo Stardero che abita nella cascina Stardero a pochi chilometri da Valdocco, anziano cappellano dell'aviazione, ricorda come è guarita la sua zia sr.Maria, divenuta Figlia di Maria Ausiliatrice, ma nata cieca. Il nonno portava sempre della provvidenza a Valdocco. E un giorno d.Bosco gli dice: - Senti, non mi parli mai della tua famiglia; desidero conoscere i tuoi figli. Così alla prima occasione arriva con la sua figlia cieca, di circa 16 anni. Don Bosco dice che c'è troppa gente: - Portala un giorno che siamo soli. Di lì a qualche giorno, eccolo di nuovo a Valdocco con Maria; d.Bosco li riceve nel suo studio, là in alto. La chiama vicino, prende una medaglietta della Madonna, la butta in un angolo e dice: - Maria, vammela a cercare. Il papà interviene: - Don Bosco, che scherzi sono? E' cieca. - Tu sta' zitto: Maria, valla a cercare. E la ragazza parte, va nell'angolo e prende la medaglietta. - Portala qui. Papà quasi sviene. - Cosa vedi sopra la medaglia? - Una donna. - E cosa tiene in braccio? - Un bambino. - E dall'altra parte che vedi? - Un uomo con un bastone in mano e il bastone ha dei fiori. - Andate a casa e state zitti... Il papà dimentica carro, cavallo, e torna a casa con la figliola guarita in un modo che sembrava uno scherzo. Con la massima semplicità. Il sig.Stardero aveva pure un altro figlio, un pezzo d'uomo, ma con la testa dura: Giacomo. Come d.Bosco lo vede arrivare gli domanda: - Come ti chiami? - Giacomo Stardero. - Guarda questo foglietto; la Madonna mi ha dettato una lista di nomi; qui c'è anche il tuo: mi ha detto che sarai un degno salesiano. E Giacomo divenne addirittura il confessore di s.Pio X. Di lui il Papa diceva, che se per ipotesi fossero andati distrutti tutti i breviari, avrebbe chiamato d.Stardero che lo sapeva tutto a memoria, quell'ex zuccone. Don Bosco, con la sua semplicità... La sua Messa non passava i 30 minuti; il ringraziamento era spesso condizionato dagli impegni, anche se non lo tralasciava. Come mai? Lo sapete; Don Bosco credeva nel mistero che era. E noi? Non crediamo nel mistero che siamo. Se ci credessimo! Noi abbiamo in mano la sorte del mondo come è nelle mani di Cristo. L'Imposizione delle mani è una fusione di mani: le sue e le nostre. Conchita riferisce il pensiero di Gesù: «Non finirei mai di dire tutto quello che i Sacerdoti sono per me: le mie mani, i miei operai, il mio cuore stesso e il centro di innumerevoli anime». Abbiamo invocato lo Spirito Santo al principio e ci siamo messi sotto la protezione della Madonna: «Sub tuum praesidium». Sì, consegnamoci alla Madonna perché Lei ci consegni allo Spirito di cui è sposa. Senza lo Spirito non avrebbe generato il nostro Sacerdozio. Siamo Sacerdoti perchè lei ha accettato lo sposalizio con lo Spirito Santo; dalla fecondità che ne è derivata, è scaturita la nostra vocazione.
